La chiesa
La costruzione della chiesa di Montegaldella risale probabilmente a prima dell'anno mille. Nel 1521 fu ricostruita e nel 1650 fu ampliata ed allungata. Gli elementi più antichi, quali gli altari e le pale, risalgono alla seconda metà del 1600. Dal 1894 al 1903 fu modificata e fu eretta una nuova facciatacostruita in cemento dalla ditta Porto di Vicenza su disegno dell'ing. Silvio Sacchetti di Arlesega. Le cinque statue in pietra che ornano la facciata, furono scolpite da Giuseppe Thiene da Costozza e rappresentano: il S. Cuore di Gesù (al centro), l'apostolo S. Paolo e S. Antonio da Padova (a destra), l'apostolo S. Pietro e S. Giuseppe (a sinistra). Dal 2001 al 2003 l'ultimo restauro l'ha riportata allo splendore di inizio Novecento.
Il campanile
Costruzione snella ed elegante (alta 61,45 metri) vanta un concerto di 12 campane suonate a corda come nelle migliori tradizioni. Il vecchio campanile venne demolito nel 1860. L'attuale fu eretto in 10 anni a partire dal 1876. Nel 1928-29 sopra la cella campanaria, a sostituzione della vecchia cuspide in legno ricoperta di lamiera zincata, venne costruita l'attuale base ottagonale che sostiene la cuspide finale a forma piramidale. Nel 1979 furono fuse le sei vecchie campane e sostituite con l'attuale concerto. A Montegaldella il campanile è una realtà viva: le campane sono azionate, curate e amate da un vivace gruppo di "campanari".
La navata centrale
La navata centrale ospita l'affresco dell'Assunzione di Maria di don Demetrio Alpago.
L'altare maggiore
L'antico altare di marmo bianco di Carrara fu eretto nel 1907. Il tabernacolo con la custodia del Santissimo Sacramento è in marmo policromo e risale al XVII secolo. Fu collocato tra due angeli di pietra (opera di Giovanni Scarante di Pietrasanta) posti sopra l'altare.
La cupola
La cupola sopra l'altare maggiore fu dipinta da Don Demetrio Alpago nel 1907 che volle rappresentare la Santa Trinità: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo circondati dal coro degli Angeli. Nelle quattro vele gli evangelisti: Matteo, Luca, Marco e Giovanni.
L'altare della Madonna del Rosario
L'altare é ornato dalla statua lignea della Vergine, opera dello scultore Giuseppe Rungaldier di Ortisei-Valgardena (Bolzano) che ha sostituito a inizio Novecento l'immagine di legno più antica, giudicata dal parroco di allora "abbastanza brutta". La nuova immagine, dono delle donne che portavano il nome di Maria, fu benedetta il 19 marzo 1929 dal Vescovo di Padova, Mons. Elia Dalla Costa. Fanno corona alla Madonna quindici piccoli medaglioni dipinti che rappresentano i Misteri del Rosario. In alto, sotto il timpano, l'iscrizione latina: "O Gloriosa Domina Excelsa Super Sydera MDCLXVIII" - "O Donna Gloriosa alta sopra le stelle 1668".
Nel presbiterio troviamo due grandi tele provenienti da Palazzo Ducale di Venezia e qui depositate nel 1898.
Jacopo Palma detto Palma il Giovane (1544-1628). "I Dogi Antonio Priuli e Francesco Contarini mentre ricevono il corno dogale da S. Marco e dall'Angelo con la Vergine". N° 1641 del catalogo delle Gallerie dell'Accademia di Venezia.
Pietro Mera detto il Fiammingo, opera dell'anno 1619. "Apparizione di Cristo risorto alla Vergine e a lato tre nobili veneziani delle famiglie Marcello, Gradenigo e Dandolo". N° 1640 del catalogo delle Gallerie dell'Accademia di Venezia.
S. Michele Arcangelo debella Satana
L'altar maggiore è dedicato a San Michele Arcangelo, titolare della Chiesa di Montegaldella. Realizzato nel 1658, come riporta l'iscrizione sul coronamento, l'altare ospita una grande pala raffigurante San Michele Arcangelo che debella Satana. La complessa composizione si articola su due registri: in quello superiore compare la luminosa figura di Michele in veste di guerriero che calpesta e trafigge Lucifero con una lancia. Nella parte inferiore del quadro sono raffigurati gli angeli ribelli che precipitano nelle fiamme dell'inferno creando una movimentata composizione dai forti effetti drammatici accentuati dal marcato chiaroscuro. Sotto il profilo stilistico l'opera appartiene all'ambiente vicentino del tardo Seicento dominato dalla generazione dei pittori della scuola di Giulio Carpioni. Tra i vicentini appartenenti all'orbita di Carpioni la pala sembra essere atribuibile a Giuseppe Tomasini (1652-1731) considerato uno dei più fedeli collaboratori del maestro. In particolare la figura dell'arcangelo Michele ricorda alcune tipologie care al Tomasini come mostra il confronto con il San Martino nella pala "l'Apoteosi di San Nicola" della parrocchiale di Santa Maria di Castello di Arzignano. Quanto alla datazione il dipinto di Montegaldella sembra essere collocabile verso la fine degli anni novanta del Seicento, esso rivela infatti strette affinità con la grande tela raffigurante la "Madonna di Monte Berico implorata da Vincenza Pasini mette in fuga la peste" dipinta da Tomasini intorno al 1695-1700 per l'importante santuario vicentino e considerata l'opera dell'artista maggiormente influenzata dalla pittura tenebrosa. La pala venne realizzata dopo l'altar maggiore che la ospita, datato 1658. Non è da escludere dunque, come avveniva frequentemente, che in un primo tempo sul rinnovato altare sia stata mantenuta la pala antica, e che solo dopo quasi cinquant'anni si sia provveduto a farne realizzare una nuova. Committente del dipinto fu Gaetano Negri come enunciato nell'iscrizione che compare sul tronco spezzato all'estremità sinistra del quadro ove si legge: "Caietani Nigro Petas D". Gaetano fu personaggio appartenente alla nobile famiglia vicentina Negri che è ampiamente documentata a Montegaldella. Nella parrocchiale si ricorda infatti una lapide funeraria destinata ad accogliere le spoglie di Bernardino Negri figlio di Marcantonio e dei suoi eredi. Rinvenuta nel corso del rifacimento della pavimentazione e trasferita in canonica, la lapide, oggi dispersa, riportava la seguente iscrizione: "Bernardinus Nigrus Filius Q. Marci Antonii monumentum hoc pro se, filiis et heredibus pusuit anno 1658".
Madonna con il Bambino in trono e Santi
Il secondo altare a sinistra conserva un dipinto raffigurante la Madonna con il Bambino in trono e i santi Antonio da Padova, Nicola da Tolentino e Gaetano Thiene. L'opera venne commissionata da Pietro e Girolamo figli di Bernardino della nobile famiglia Conti (cfr. Tirside, 1768) che a Montegaldella possedevano la villa Deliziosa. I due fratelli commissionarono anche l'altare seicentesco che custodisce la pala, alla sommità del quale posero lo stemma del casato. L'opera tradizionalmente riferita a Giulio Carpioni (cfr. Tirside, 1768) è riconfermata al pittore veneziano dalla critica moderna (cfr Pilo 1961, p. 103). Alla luce dei recenti studi sulla pittura vicentina del secondo Seicento (Binotto, 2000, pp. 257-326) è possibile tuttavia proporre più convincemente l'attribuzione a Giovanni Cozza (1628-1678), fedele allievo di Giulio Carpioni e certamente il più dotato e originale artista della sua scuola. Le forti assonanze di ordine stilistico e tipologico consentono infatti di avvicinare la pala di Montegaldella alla grande tela raffigurante "San Nicola da Tolentino prega per Pellegrino Osimo" dell'oratorio di San Nicola a Vicenza, opera firmata da Cozza e datata 1662.
Madonna della cintura
Il primo altare della navata sinistra, dedicato alla Madonna della Cintura, reca nel cartiglio alla sommità del coronamento l'iscrizione "D.O.M. - AVE MARIA SPECIALIS / FOVE TUIS NOS SUB ALIS / MDCLX", che consente una datazione precisa del manufatto al 1660, data che sembra precedere di circa un decennio la bella pala che costudisce. La grande tela raffigura i santi Girolamo, Agostino e Monica da una parte e i santi Rocco e Valentino dall'altra, sovrastati in cielo dalla Madonna con il Bambino affiancata da San Giuseppe. Come si è detto la pala è intitolata alla Madonna della Cintura, un culto diffuso dagli agostiniani. Le fonti settecentesche riferiscono che il dipinto venne commissionato dal nobile Girolamo Conti figlio di Bernardino il quale, si dice, "donò all'altar della Cintura nella Parrocchiale un bellissimo quadro, opera del Volpato da Bassano" (cfr. Tirside, 1768). La committenza dell'opera è confermata dalla presenza in primo piano sulla sinistra del quadro di san Girolamo penitente, santo protettore del donatore. Tuttavia pur in presenza dell'autorevole fonte che dichiara il nome dell'offerente e la paternità dell'opera, il dipinto, conosciuto esclusivamente in ambito locale, è stato finora trascurato dalla letteratura artistica e non compare nella monografia di Giovanni Battista Volpato (1636-1706).
Martirio di S. Stefano
Sul primo altare destro di precoci forme seicentesche si trova il più antico dei dipinti conservati nella chiesa. L'altare è dedicato a Santo Stefano protomartire cristiano e la pala che vi si conserva ne raffigura il martirio avvenuto per lapidazione. Opera conforme ai dettami della Controriforma per tematica trattata e chiarezza con cui è espressa, la pala presenta sulla sinistra il santo martire in veste di diacono verso il quale avanzano minacciosi i carnefici che impugnano le pietre per lapidarlo. La scena, sovrastata dal gruppo della Trinità, è ambientata all'esterno di una città murata di cui si intravede sulla sinistra un imponente bastione. Il dipinto è attribuibile sotto il profilo stilistico a Giambattista Maganza il giovane, figlio di Alessandro principale rappresentante di un'attiva bottega che dominò la scena vicentina fin oltre il terzo decennio del Seicento. Il dipinto rivela singolari affinità di ordine iconografico con una pala del medesimo soggetto attribuita a Giambattista Maganza il Vecchio che si conserva nella chiesa di Santo Stefano di Vicenza, databile all'inizio del nono decennio del Cinquecento. I due dipinti riprendono schemi tardomanieristici largamente in uso all'epoca ed in particolare mostrano forti affinità con la pittura di Palma il Giovane di cui è nota la pala del medesimo soggetto nel duomo di Cividale. L'attribuzione al giovane Giambattista trova conferma dal confronto con la vasta produzione nota del pittore vicentino. In particolare riconducono al suo stile le figure allungate, un certo patetismo che affiora soprattutto nella figura del santo martire, ed infine i colori schiariti dai riflessi argentei derivati dalla lezione del Da Ponte: caratteri tipici degli ultimi anni di attività dell'artista che permettono di datare l'opera all'inizio del secondo decennio del Seicento.